XXVI Secolo. Solo macerie sono rimaste dalla Caduta, la guerra che ha distrutto le enormi città tra le nuvole, eccetto Salem che è riuscita a resistere e ora domina il mondo. La Città di Ferro è l’agglomerato urbano sottostante, una discarica in cui sono gettati i rifiuti di Salem. Alita è uno di questi rifiuti. Come un angelo caduto dal Paradiso, come uno strumento inutilizzabile, incompreso o semplicemente odiato, Alita è scaricata nel mare metallico sottostante dov’è trovata dal Dott. Dyson Ido che la riassembla e le dona un corpo e una vita nuovi. Senza alcun ricordo, Alita si risveglia e si immerge in un mondo suburbano, abitato da cyber-braccatori che le danno la caccia per ricavare profitto dalla sua unicità; oscuri bassifondi in cui molto presto sprofonda per poi riemergere con rinnovata contezza e uno scopo ben preciso: giungere all’inarrivabile Salem per sfidare la sua nemesi, lo scienziato pazzo che – come una divinità prigioniera nell’Olimpo del cyberspazio – genera abomini robotici che combattono in gigantesche arene per puro piacere distruttivo. Alita trova nell’amore verso un ragazzo di strada (un rapporto che, con cuore in mano, si sviluppa in modo naturale, semplice, autentico) la forza di combattere la sua battaglia contro chi le ha tolto ogni cosa.

Una protagonista, interpretata in un magnifico motion capture da Rosa Salazar, che colpisce per il suo coraggio e la sua fanciullezza: letale e ingenua, spietata e fragile al tempo stesso. Un’eroina contemporanea in cui si intravede l’ideale che porta a lottare contro un sistema oppressivo e sbagliato; una figura già assaporata in Ghost in the Shell (1991), il manga di Masamune Shirow. Come Pinocchio, Alita è una teenager che prova sentimenti e compie scelte avventate, con l’unica differenza che non anela a diventare umana, ma essere semplicemente se stessa: una cyber-guerriera d’altri tempi, incredibilmente potente, che sfida il sistema e chi lo manovra per arrivare a un finale bisognoso di un sequel che faccia luce sul suo destino (e approfondisca meglio il suo passato). Un destino fatto di metallo e ingranaggi, di carne e sangue.

La pellicola di Robert Rodriguez, prodotta da James Cameron e tratta dal manga di Yukito Kishiro (1991 – che buona annata per il cyberpunk!), trasporta in un mondo familiare che fa eco alle oscure atmosfere di Blade Runner (1982) e Dark City (1998), proietta indietro fino al prototipo Metropolis (1927) e trasporta avanti, attraverso una storia che fa leva sulle emozioni, ad A.I. – Intelligenza Artificiale (2001). Partendo da fondamenta narrative solidissime e un pizzico di mistero, la storia prosegue perdendo pezzi qua e là come un motore che dà il massimo al segnale di partenza, con rombi di tuono generati non tanto da una colonna sonora non percepita, quanto dalla potenza di sequenze d’azione spettacolari e paesaggi mozzafiato che ricordano Elysium (2013) e Ready Player One (2018), ma poi si ingrippa lungo l’accidentata e mortale pista in un clangore metallico di co-protagonisti e antagonisti poco armoniosi e mal caratterizzati. Un vero peccato.

Alessandro Pin