Il titolo originale del film è “Aliens Vs. Predator – Requiem”, che è un titolo più appropriato, perché celebra di fatto la morte di un genere e, speriamo, il funerale di due saghe, un tempo eccitanti, tirate ormai troppo per le lunghe. Anticipato da un fumetto e da un videogioco che li aveva fatti incrociare già negli anni Novanta, il primo duello cinematografico tra questi due campioni di mostruosità si era svolto nel 2004, nel non disprezzabile “Alien Vs. Predator”. Alla regia lì c’era Paul W.S. Anderson, regista con qualche scheletro nell’armadio (“Mortal Kombat”) ma con qualche freccia al suo arco quando si era trattato di coniugare fantascienza e horror (“Punto di non ritorno”, “Resident Evil”). Quello era un onesto B – Movie, come si dice in gergo, grottesco ma simpatico, per cui furono evocati i duelli tra King Kong e Godzilla o tra Goldrake e Mazinga. I fans gradirono, mentre tutti gli altri storsero già il naso, rimpiangendo il primo “Predator” e soprattutto la tetralogia di “Alien”, opere di fantascienza di alto livello (affidate a signori registi) che in modo non banale e molto spettacolare avevano detto qualcosa di inedito anche sull’inconscio e sull’ignoto. Dimenticate tutto ciò, perché se nel primo “Alien Vs. Predator” si storcevano i nasi, in questo si rivoltano le budella. La novità di questo secondo episodio doveva consistere nel diverso scenario: però passare da una piramide sepolta sotto i ghiacci dell’Antartide a una cittadina del Colorado significa precipitare verso i più triti stereotipi dell’horror – splatter di serie Z: coppiette di adolescenti amorosi, odiosi teppisti destinati a una fine orrenda, coscienziosi sceriffi che a un certo punto compiono la scelta sbagliata e ribelli dal cuore d’oro e dai nervi d’acciaio che prendono in mano la situazione. Chi si salva e chi no, non ha importanza. La fanno da padrone le due bestiacce del titolo, che se le danno di santa ragione per tutto il film, non prima di aver compiuto una carneficina degna di Erode (e ci chiediamo se fosse davvero così necessario raschiare il fondo del barile del buon gusto, prendendosela con bambini piccoli, neonati e donne incinte). Quando infine entrano in scena i soliti militari ottusi e le trame oscure dei signori della guerra, il ridicolo ormai è stato addirittura sorpassato, e ci si aggira davvero dalle parti di “Scary Movie”. L’unica cosa riuscita sono gli effetti speciali (indovinate cosa facevano i registi prima di questo film?) il cui realismo sconcertante ha forse suggerito il divieto ai minori di 18 anni. Ma questa restrizione da parte della censura italiana, di solito molto permissiva (per cui “Hostel” e “Saw” possono vederlo i quattordicenni, “Hannibal” addirittura tutti), ha dell’incomprensibile: forse solo una mossa pubblicitaria per attirare al cinema i gonzi. Impressionante? Sì, per stupidità. ,Raffaele Chiarulli