Ci sono dei romanzi che sembrano stregati, almeno al cinema. Romanzi maledetti, che non riescono a trovare una propria collocazione nel mondo del cinema. Romanzi come il 'Don Chisciotte' che affascinò tanti grandi registi come Orson Welles e Terry Gilliam, autori di due incompiuti lavori proprio a partire dal capolavoro di Cervantes, e come 'Alice nel paese delle meraviglie', l’opera più celebre di Lewis Carroll, alla base di tante, tantissime trasposizioni cinematografiche ma ancora in attesa del film consacrazione, del film definitivo. Sembrava la volta buona: Tim Burton, regista versatile e piuttosto continuo, cuore indipendente del cinema mainstream, cantore soprattutto del disagio in tanti suoi capolavori, da Edward mani di forbice in avanti, era l’unico autore possibile capace di far propria l’Alice di Carroll e magari, perché no, in grado anche di ricrearla secondo il proprio estroso talento visionario. Purtroppo l’Alice di Tim Burton è una delusione, sia dal punto di vista visivo, sia dal punto di vista della poetica del regista. Burton che è sempre stato molto accorto nel bilanciare il giusto peso delle esigenze del botteghino di spettacolarità con un’attenzione, in alcuni casi unica e finissima, alla psicologia dei personaggi, spinge l’acceleratore proprio sul versante dello spettacolo opulento e colorato. Così, il mondo fiabesco (ma anche inquietante) del romanzo di partenza diventa un’avventura dai colori pastello e dal ritmo piuttosto sincopato. C’è una grande cura, anche meticolosa, nel rappresentare i numerosissimi personaggi del romanzo, dallo Stregatto alle scenografie del palazzo della Regina Rossa fino al Cappellaio matto, interpretato da Johnny Depp, che come spesso gli capita quando è mal diretto, eccede in mossette e virtuosismi. Tutto qui: una bella avventura. Della poetica degli ultimi, dei mostri che sono semplicemente persone sole, del disagio degli adolescenti, non vi è traccia se non nella metafora appena abbozzata del vestito che non va mai giusto ad Alice, sempre troppo grande o troppo piccola. Poca cosa per un regista che ci ha regalato un eroe oscuro e ambiguo come Batman. L’inquietudine dell’Alice di Carroll e dei tanti personaggi burtoniani, la capacità affabulatoria di un film come Big Fish, i forti echi del romanzo gotico, insomma, il mondo poetico di un regista che ha fatto della diversità il fondamento del proprio discorso cinematografico si perde letteralmente in un coloratissimo, ma anonimo viaggio tra bizzarre creature. Con l’esito paradossale di trovarci di fronte al primo film di Tim Burton in 3D ma forse, assieme al suo trascurabile remake del Pianeta delle scimmie, anche al suo film più piatto e incolore.,

Simone Fortunato