Si incontrano a Parigi: Fausto fa il cameriere in un grande albergo, lei passa di lì per un provino da modella. Un incontro casuale, e fatale; per lui scatta il colpo di fulmine, e si mette nei guai per far colpo su di lei. Al primo bivio, lui finisce in prigione, lei diventa una modella ricercata. Un po’ lo va a trovare, poi più nulla. Si rivedono anni dopo, sembra già finita per loro, per colpa del carattere irruento di lui, e invece riparte tutto. Vanno a vivere Milano: sono molto diversi, e diverse le vite che fanno, ma si amano. Poi Fausto incontra Sandro, uomo generoso e affamato di vita come lui, che lo coinvolge nel progetto di realizzare la più bella discoteca mai vista. Anche qui Fausto ne combina una grossa (prende “in prestito” soldi di Nadine), cerca di rimediare alla sua maniera, in una spirale che finisce in un altro bivio della loro storia: un incidente, dopo il quale le loro parabole sembrano invertirsi; a lei inizia ad andare tutto male, a lui tutto bene perché con Sandro all’Alaska fa soldi e si sente realizzato. E poi ci si mettono altre donne, altri uomini, tradimenti, colpi bassi, legittime aspirazioni portate avanti con frenesia o goffaggine, ferite inferte a chi non si vorrebbe, tragedie… Non sono fatti per vivere insieme. O no?
Claudio Cupellini, che dopo l’esordio con la commedia Lezioni di cioccolato si fece apprezzare parecchio con l’opera seconda Una vita tranquilla, torna al cinema dopo l’esperienza televisiva con la serie Gomorra raccontando una storia rischiosissima: quanti amori folli e passionali, quante coppie violente e autodistruttive abbiamo visto sul grande schermo? Qui poi, ad aumentare i rischi, ci si mette un accumulo di altri personaggi: scolpiti, come quello di Sandro reso indimenticabile da un grande Valerio Binasco, o solo accennati, come la sua aiutante sensibile; o il cameo inquietante di Marco D’Amore, protagonista proprio di Gomorra – La serie, oppure visibili ma forse solo “funzionali” agli snodi della vicenda, come la compagna miliardaria (Elena Radonicich, comunque convincente) che fa fare una svolta alla vita di Fausto, improvvisamente pacificato e realizzato. E poi inverosimiglianze (una modella che finisce a fare la cameriera? Un ex carcerato che diventa direttore di un grande albergo?), scene madri, scoppi di rabbia, eccessi allucinati, in un crescendo continuo che fa temere sempre la catastrofe per questi due giovani innamorati. Ma anche sperare in un futuro di bene, quando si dividono le loro strade.
Si potrebbe dire che non tutto è bilanciato bene, ma sono quelle frasi retoriche “da recensione” perfettina e asettica come l’esperimento di un chimico. A Cupellini, giustamente, dell’equilibrio, del bilanciamento tra le parti importa nulla, in un melò che di equilibrato non ha niente, che corre come un treno, che – se ci si appassiona fin dall’inizio alla loro storia – ci fa entrare nelle vite di questi due sciroccati che si amano ma non sanno come si fa ad amare. Grazie a una scrittura felicissima, e precisissima in mezzo al caos delle vite che racconta, che si prende la libertà, coraggiosa in un film italiano, di partire con mezz’ora totalmente in francese con i sottotitoli; con una descrizione convincente degli ambienti, dei luoghi, degli sfondi sociali che mette in scena; con dialoghi ricercati ma credibili, e con alcune scene stupende (come la cena in un ristorante elegante che fa da sfondo a una delle ingenue follie di Fausto, o come la lucida presa di distanza di Sandro da Fausto, «ora sarò splendido come sempre, ma da domani tu per me sei morto»). Ma grazie anche a una coppia di interpreti eccezionale nel rendere le contraddizioni dei due protagonisti: Elio Germano come sempre clamorosamente in parte (con buona pace di chi, chissà perché, non lo sopporta) nei panni di questo giovane uomo innamorato folle ma roso dalla gelosia, dall’ambizione, dal desiderio dei soldi come riscatto personale, e la giovane e bellissima francese Astrid Bergès-Frisbey, davvero talentuosa e capace di regalare fragilità infantile al suo personaggio. E ad alcuni comprimari di classe, come il già citato, gigantesco Valerio Binasco (già in coppia con Germano un anno fa: era Pietro Giordani, amico e mentore di Giacomo Leopardi in Il giovane favoloso): se non gli daranno qualche premio, quest’anno, sarà una grande ingiustizia. Alaska, film tra i più coinvolgenti e palpitanti del cinema italiano recente grazie a uno stile “fisico” (con la macchina da presa sempre vicina ai volti e ai corpi), deve molto a lui. E deve tanto a un regista come Cupellini che non si crede autore e che al terzo film – che può lasciare a tratti perplessi ma non lascia indifferenti – sembra aver tanto da dire (forse troppo, ma meglio così che il contrario). Che regala un finale come si deve ai suoi protagonisti e agli spettatori, dopo tanto soffrire, senza rimettere a posto i danni ormai fatti. Ma conficcando Fausto e Nadine nel cuore di chi ha seguito con apprensione le loro fragilità.
Antonio Autieri