Siamo in Belgio, ma Didier sogna l’America. E come musicista – suona il banjo – se la sente addosso, con la sua band di musica bluegrass: un country con influenze di blues, gospel, musica irlandese e tanto altro. Nella sua vita un giorno entra Elise, che per mestiere e convinzione fa tatuaggi, con cui man mano nasconde le tracce di amori di andati male sovrapponendo disegni a disegni sulla sua pelle. Stavolta l’amore, improvviso e travolgente tra queste due anime borderline, un po’ sciroccate ma buone, sembra dare frutti duraturi, tanto che nasce anche una bambina (e c’è anche un matrimonio sui generis, dopo dichiarazione d’amore alla Johnny Cash, celebrato da un amico un po’ alticcio: ma le promesse sono sincere e le parole quelle dei matrimoni benedetti da Dio). Lui dapprima, in realtà si spaventa e vorrebbe scappare: ma poi torna e anzi ci si mette d’impegno, restaurando la casa in disuso “perché non vorrai vivere con il bimbo nella roulotte?”. La piccola Bluebell è un vero splendore, la gioia più grande di una vita colorata, divertente, bella. Poi i primi segnali che qualcosa non va, che si traducono nella dolorosa scoperta di un tumore. E quindi i ricoveri, i consulti con i medici, le parole divertenti dette alla bimba e le lacrime di nascosto, le feste con gli amici (che belli da vedere insieme a loro) e l’amore che sembra scivolare via insieme alla pioggia in un Belgio da cui si vorrebbe fuggire. Ma anche le parole serie, a domande serissime: come quando un uccello va a sbattere contro una specie di veranda tirata su alla buona, e la piccola chiede al padre dove finirà ora che è morto.,Per parlare di Alabama Monroe e sviscerare tutti gli spunti che pone ci vorrebbe uno spazio immenso. Ma non sarebbe giusto svelare troppo – anche se a scanso di rischi, potete sempre leggere le righe successive solo dopo averlo visto – di un film molto bello, che prende prima gli occhi, poi il cuore e poi la gola, con un finale che toglie il respiro e non ti lascia requie. Rivale di Paolo Sorrentino all’Oscar per il film straniero 2014, dove poi ha trionfato La grande bellezza, questo film belga è tutt’altro che il lacrimoso e ricattatorio film (anche se alcune immagini ed eventi fanno soffrire parecchio) tra amore e malattia che molti commentatori un po’ aridi hanno voluto descrivere. Ma un film dalla struttura molto efficace, che con un montaggio alternato mostra la storia di Didier ed Elise in un andirivieni di attimi felici e momenti drammatici o tragici, di primi presentimenti e corteggiamenti e litigate furibonde, di speranze e disillusioni: un meccanismo che porta con sé lo strazio di chi a un certo punto ha ben presente il “dopo”, di chi sa che quella felicità iniziale sarà messa a dura prova. ,Felix Van Groeningen, regista belga che gira come un consumato regista americano, mette in campo sentimenti ed eventi forti, ma con una compostezza ultima che impedisce al suo film di sbracare in un sentimentalismo molesto o in un maledettismo fine a se stesso. Grazie anche a canzoni bellissime e commoventi e a una coppia di attori sconosciuta a livello internazionale ma incredibilmente efficace (l’affascinante Veerle Baetens, premiata con l’Efa ovvero l’Oscar europeo, e Johan Heldenbergh, autore anche dell’opera teatrale da cui è tratto il film). E se le tirate contro Bush e la sua contrarietà alla ricerca sulle cellule staminali (siamo nel 2001, dopo il crollo delle Torri Gemelli) sembrano portare il film su una strada forzata, in realtà le urla al cielo e agli uomini aprono un fronte importante: cosa sostiene una persona di fronte al dramma? Di certo le risposte parziali crollano miseramente, i tentativi solitari e rabbiosi dividono la coppia sempre più, una fede poco matura o il rifiuto di ogni possibile risposta che non sia la fine di tutto sembrano due facce della stessa disperata medaglia. In cui ricominciare sembra impossibile.,Il titolo originale, The Broken Circle Breakdown (che è anche il titolo di una canzone di un musicista citato nella storia, Bill Monroe, riferimento del bluegrass) sembra infatti alludere a un cerchio che viene spezzato dagli eventi. Ma c’è da dire che quello italiano, che si chiarisce nel finale, dà una coloritura ancora più straziante alla storia: se Elise, quando la vita va in pezzi, sceglie addirittura di cambiare nome e chiamarsi Alabama, mentre Monroe è il suo uomo (dal nome appunto del suo musicista di culto), nel suo ultimo tatuaggio quello che sembrava spezzato sembra destinato, come contraddittoria speranza, a rimanere unito per sempre. ,Antonio Autieri