Dovrebbe essere una presa di posizione netta contro ogni forma di fanatismo religioso. In realtà, a ben vedere, l’obiettivo sembra quello di mettere in cattiva luce la Chiesa. Poco male, ci mancherebbe. Il cinema è pieno di capolavori anticlericali e personalmente amiamo figure non proprio allineate con la schiera vaticana. Gente come Bunuel, Pasolini e Almodovar, è gente che ha picchiato sempre duro sulla Chiesa ma ha regalato al mondo capolavori veri di sensibilità anche religiosa. Come si può negare che Il vangelo secondo Matteo sia una grande opera piena di rispetto del fatto di Cristo? O come non si può non percepire nei film più riusciti di don Pedro, Tutto su mia madre e Parla con lei, una riflessione seria e matura sulla maternità, persino sul miracolo? Insomma, non ci scandalizza il contenuto del film di Aménabar: anzi, ben venga un film che riporti alla luce anche un fatto controverso con protagonisti alcuni fanatici cristiani. Il problema è il modo con cui la Storia viene ridotta a fatto esemplare per sostenere una tesi alquanto discutibile. E cioè che l’ateo è il vero libero e che tra la fede e l’ideologia non ci sia una grande differenza. Da questo punto di vista, Agorà non è un film storico in senso stretto, ma un pamphlet, un film a tesi. Per il regista spagnolo, come già nel precedente film a tesi, Mare dentro, la verità sta solo da una parte. Basti vedere la rappresentazione dei personaggi in campo: Ipazia, sintesi romantica e anacronistica di femminista ante litteram e di scienziata geniale (anche se la sua opera è andata totalmente perduta), fa da contraltare a un mondo caotico dominato dagli scontri religiosi tra pagani e cristiani e su cui almeno per una prima parte Aménabar si dimostra equidistante, mostrando come da entrambe le parti il fanatismo avesse ormai occupato le menti e i cuori di molti. Certo è che in una classifica degli orrori sono i cristiani e non gli ebrei o i pagani ad ottenere la palma dei più crudeli aguzzini. Barbe lunghe, cappucci neri e bocche sdentate, i cristiani convertono a forza bruciando i malcapitati pagani, come sottolinea con enfasi il regista in una delle sequenze d’apertura e dopo le provocazioni provenienti dalla biblioteca di Alessandria, risponderanno da par loro attraverso violenze, stupri e la distruzione della Biblioteca. C’è una sequenza, in particolare, particolarmente evocativa quella in cui i pagani, Ipazia in testa, vittime di un odio fanatico e integralista, scappano in tutta fretta dai cristiani cercando di salvare il salvabile dalla biblioteca prossima alla distruzione. Ultimi testimoni di una civiltà decadente e strenui difensori di un sapere che verrà corrotto e contaminato dal cristianità. Ma davvero? Non c’è bisogno di fare gli storici di mestiere per notare la forzatura che Aménabar fa della storia addirittura capovolgendo quello che in realtà il Cristianesimo porterà al mondo classico. E cioè la salvezza, non in senso religioso, ma in senso davvero concreto, con le centinaia di libri riscritti e ricopiati dai monaci cristiani, che per amore della bellezza portarono in salvo e trasmisero opere pagane e che spesso non aderivano pienamente al messaggio cristiano. Eppure lo fecero, salvarono la tradizione gloriosa della classicità dalla barbarie e sicuramente l’avrebbero fatto anche con l’opera di Ipazia, se fosse arrivata a loro. Aménabar, insomma, in un film che ha molti difetti e varie anime (e di tutte, quella della divulgazione scientifica appare meno convincente, cinematograficamente prolissa e poco accattivante), nella rappresentazione del mondo antico sceglie la strada più semplice, e cioè l’analogia col mondo di oggi. I Cristiani di un tempo sono i musulmani integralisti di oggi. Stessa ignoranza, stessa cieca violenza, stesso desiderio di potere. Il vescovo Cirillo nel film appare come il vero mandante delle violenze e poco importa che le fonti storiche diano opinioni diverse. È un Bin Laden (o forse Bush, tanto ormai sono interscambiabili) cristiano e le sue schiere folli e assetate di sangue usano la religione come idolatria, in questo non troppo distanti dalle divise nere dei Nazisti. È un’analogia un po’ facile e semplicistica in nome della quale Aménabar forza la vicenda storica, dimenticandosi che la maggior parte dei Cristiani non era affiliata ai Parabolani, la setta colpevole delle violenze e non ammettendo che gli ideali pagani – e qui il paganesimo di cui si parla è il paganesimo tardo – non erano proprio la tolleranza per gli schiavi, il rispetto della diversità, l’amore per il sapere. È una forzatura, anche questa, all’insegna di un illuminismo olimpico, senza sbavature e senza colpe, che probabilmente non è mai esistito.,Simone Fortunato,