Film potente e difficile sull’Olocausto visto dalla parte delle vittime segnate indelebilmente dal male subito. Dirige Paul Schrader con il suo solito stile fortemente simbolico e senza lesinare anche sequenze particolarmente vive e disturbanti. Il protagonista è, come sempre nei film del regista di American Gigolo e Affliction, un uomo in cerca di requie. Si tratta di un clown, il talento comico più grande che la Germania abbia avuto negli anni Venti, Adam Stein, interpretato da un magnifico Jeff Goldblum, forse nel ruolo della vita. Clown geniale e dissacrante, Adam patirà come tutti la violenza e la tortura del regime, ma si salverà diventando, letteralmente, il cagnolino del comandante del lager, il luciferino Willem Dafoe. L’inizio della vita fuori dal lager, in solitudine estrema per la morte della moglie e delle figlie, sarà per Adam come vivere in un inferno senza fine dove realtà e allucinazione si fondono senza soluzione di continuità, i tentativi di suicidio sono all’ordine del giorno, fino a un incontro inaspettato e doloroso che “guarirà” il clown che non riusciva più a sorridere. Narrativamente molto semplice, il film ha una forza indubbia dal punto di vista visivo: da un lato i flashback in uno splendido, lucido bianco e nero, raccontano senza enfasi né retorica l’Olocausto in un modo davvero vivido; dall’altro, la vicenda dolorosa di Adam, spesso caricata di riferimenti cristiani (tra l’altro, una paziente è convinta che Adam sia il Messia) assume i connotati di una vera e propria Via Crucis espiatoria. Delicati e davvero di gran classe gli omaggi a Chaplin e allo splendido Il ragazzo selvaggio di Truffaut.,Simone Fortunato,