Una storia d’amore ai tempi dei Beatles. Riuscite a immaginare qualcosa di più accattivante? Ha avuto gioco facile la grintosa e talentuosa regista Julie Taymor nell’agganciare una grandissima fetta di pubblico di nostalgici: quasi impossibile non lasciarsi travolgere da un film in cui vengono cantate trentatré canzoni del quartetto di Liverpool, e non versare una lacrima per la struggente storia d’amore tra l’operaio Jude e la studentessa Lucy. La Taymor viene dal teatro, è considerata una delle più estrose e innovative registe del panorama artistico internazionale, ha vinto tantissimi premi ed elaborato fantasie incredibili (ha portato Il re leone a Broadway!). Del suo talento visivo, straordinario e fastoso, gode anche questo film (il suo terzo lungometraggio, dopo Titus e Frida), un’appassionata carrellata di immagini e (soprattutto) suoni, provenienti dai favolosi anni Sessanta, trasportati con irruenza psichedelica nelle platee dei cinema di oggi. Fu vera gloria? Difficile da dire, anche se la sensazione è che questo film diventerà un classico a furor di popolo. Julie Taymor azzecca il titolo e il poster del film (suggestivi entrambi, tirati fuori insieme a mille altre citazioni dalla magica gerla dei Beatles); trova le facce giuste in quelle di Sturgess e della Rachel Wood (e al cinema l’alchimia tra gli interpreti è fondamentale), sprigiona la sua fantasia in almeno due sequenze oniriche da applausi (a metà tra Michel Gondry e il Terry Gilliam dei bei tempi), indovina un finale emozionante dopo un ultimo quarto d’ora palpitante per il ritmo e l’enfasi. Un capolavoro? Neanche per sogno. Lasciamo agli esperti la valutazione di come siano state riarrangiate le canzoni dei Beatles (molti spettatori escono dal cinema cantando e saltellando, ma i puristi hanno storto il naso). Il problema del film è che è debole da un punto di vista narrativo. Across the Universe non assomiglia neanche ad un tradizionale musical (per esempio il celebre e bellissimo Moulin Rouge, diretto anch’esso da un regista teatrale), perché pare del tutto disinteressato alla forma e alla compiutezza: sembra affastellare citazioni, piuttosto, come sorretto dall’ansia di non riuscire a dire tutto, a cantare tutto. Si sprecano, di conseguenza – in una sceneggiatura piena di falle – le scene gratuite e le forzature. Di molti personaggi non vengono approfondite le motivazioni (la ricerca del padre di Jude è solo un pretesto, ma che bella storia poteva venirne fuori!). C’è perfino, ed è altrettanto gratuito, un omaggio a Saffo (e alla contestazione imminente) commentato dalla canzone I Want To Hold Your Hand (chissà che ne pensano i “Fab Four” di questa rilettura omosex). La colonna sonora da urlo, inutile dirlo, rimane in testa. Ma il merito è tutto dei Beatles.,Raffaele Chiarulli

Across the Universe
Inghilterra, anni Sessanta. L’operaio Jude abbandona la natia Liverpool e s’imbarca per gli Stati Uniti alla ricerca di un padre che non ha mai conosciuto. In un college degli States, dove suo padre lavora come inserviente, fa amicizia con lo sfaccendato studente Max, e con lui decide di recarsi a New York, in cerca di fortuna. Qui li raggiungerà Lucy, sorella di Max, che s innamorerà ricambiata di Jude. Resisterà questo amore agli stravolgimenti della storia, al Sessantotto, al Vietnam? ,