Dai nostri inviati al Lido, altre recensioni di film del concorso ufficiale di Venezia 77, proposti nelle varie sezioni della Mostra del Cinema (in programma dal 2 al 12 settembre).
Con Notturno di Gianfranco Rosi, passa a Venezia il terzo titolo italiano in concorso. Frutto di un viaggio durato tre anni e girato in più paesi (Siria, Libano, Irak, e nel Kurdistan), il documentario di Rosi è la testimonianza dei terribili strascichi della guerra nei paesi del Medio Oriente. Una serie di stati nati dalla divisione arbitraria eseguita dalle grandi potenze alla caduta dell’Impero Ottomano, le cui conseguenze vengono pagate ancora oggi – a più di un secolo di distanza – da un’inerme popolazione civile che periodicamente si ritrova a dover fuggire dalle proprie case per aver salva la vita.
Girato in assenza di una voce guida, con pochissimi dialoghi, Notturno colpisce per la ricerca, da parte di tutti i protagonisti, di una pace ormai sconosciuta da anni, della possibilità per i bambini di crescere senza immagini di orrore negli occhi, di madri che non debbano più piangere la tortura e l’uccisione dei figli, di uomini e donne che possano avere un futuro senza dover abbracciare un’arma. Il lamento di dolore che arriva dalle scene del documentario è straziante, pur nella sobrietà e compostezza scelte dal regista, che evita assolutamente scene cruenti o di sangue, ma si concentra sui volti o sulle poche parole di chi ha vissuto la tragedia sulla propria pelle. Girato, come suggerisce il titolo, spesso nelle ore di oscurità o che precedono l’alba, Notturno riesce anche a mostrare come basti poco, quando tacciono le armi, per ritrovare la poesia di certi scorci, del lavoro dell’uomo, di un’armonia con la natura ancora riconquistabile. (Beppe Musicco)
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Con Laila in Haifa (in concorso) l’israeliano Amos Gitai prova a costruire una ragnatela di storie piene di ombre e simbolismi attraverso lo sfilacciamento della trama e la frammentazione dei personaggi protagonisti. Il titolo punta sulla polisemia del termine Laila, che oltre a essere il nome della protagonista principale significa “notte” in ebraico. E la notte vorrebbe forse essere la reale protagonista di questa storia corale, occupando ogni singola ambientazione e invadendo le zone più intime della personalità dei personaggi. Con alcuni dialoghi si vorrebbe raggiungere il poetico o il metaforico, ma un intreccio sostanzialmente inesistente e la verbosità della scrittura rendono l’intera narrazione incomprensibile e a tratti ridicola, per improbabilità e assurdità di alcuni colpi di scena. I protagonisti scarsamente caratterizzati e la ripetitività dei contenuti fanno poi crollare definitivamente il ritmo della storia fino a farlo diventare insostenibile, anche per la scarsa originalità con cui le vicende dei singoli vengono risolte o lasciate all’interpretazione dello spettatore. Un enorme buco nell’acqua per il regista, habitué dei festival: e oltre la delusione per la scarsa efficacia dell’opera in sé, viene da pensare che forse un titolo del genere, per toni e contenuti, sarebbe stato più adeguato per la selezione Fuori concorso. (Letizia Cilea)
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Presentato nella sezione Orizzonti, Guerra e pace affronta con approccio documentaristico la relazione tra cinema e attività bellico/diplomatiche delle istituzioni italiane, a partire dalla nascita della stessa macchina da presa fino ad arrivare alle più moderne tecniche cinematografiche. Martina Parenti e Massimo D’Anolfi scelgono di suddividere la loro opera in quattro capitoli, selezionando del materiale di repertorio di valore inestimabile per raccontare la guerra in Libia ed entrando direttamente nelle stanze del potere per seguire le operazioni di salvataggio della Farnesina, gli addestramenti dei soldati italiani e le previsioni degli esperti rispetto alle conseguenze che gli accordi internazionali già stipulati potranno avere sul futuro di noi tutti. Il resoconto è meticoloso e appassiona soprattutto quando svela trucchi, segreti e strategie che funzionari e soldati utilizzano per spuntarla da vincitori nei momenti di crisi. Un lavoro di pignoleria e di pazienza, quello della diplomazia, come di resistenza è quello del soldato, entrambi perfettamente rappresentati da immagini potenti, capaci di darci la percezione di pressioni e responsabilità che incombono su coloro che hanno fatto di questi mestieri delle vocazioni. Nonostante qualche lungaggine che talvolta rallenta un ritmo altrimenti serrato, il lavoro della coppia di registi risulta centratissimo nell’illustrare il ruolo testimoniale che l’immagine e il cinema riescono ad avere per un ambito d’azione nel quale il confine tra la quiete e la tempesta è sottilissimo, la scelta di una mossa rispetto a un’altra può essere il discrimine che riequilibra o sbilancia le dinamiche internazionali. (Letizia Cilea)
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Unico film italiano presentato alle Giornate degli Autori, seziona autonoma del festival, è il dramma Spaccapietre dei gemelli Gianluca e Massimiliano De Serio. Angela, amata moglie e madre, muore di fatica lavorando nei campi come bracciante stagionale. Suo marito Giuseppe, ex spaccapietre rimasto cieco da un occhio e quindi rifiutato dai datori di lavoro, decide di prendere il suo posto nei campi: insieme al figlio di dieci anni Antonio si trasferisce in una baraccopoli gestita da padroni disumani. Giuseppe fa però ad Antonio una promessa impossibile: giura che presto gli restituirà sua madre. I due registi torinesi, al loro secondo lungometraggio di finzione, compiono una denuncia aspra e umanitaria del caporalato, che può contare sulla valida interpretazione di Salvatore Esposito, il Genny della serie tv Gomorra, qui in un ruolo opposto a quello che lo ha reso famoso. Il destino si accanisce contro i protagonisti, ma anche contro centinaia di invisibili, sia italiani che extracomunitari, costretti a vivere giorno dopo giorno in un inferno terreno. Lottare per salvare l’ultima scintilla di umanità è ancora possibile, ma la violenza potrebbe essere un passaggio necessario. I De Serio confezionano un film duro e quasi claustrofobico, legato anche alla scelta di un formato insolito, che volutamente imprigiona le figure in uno sfondo ristretto dal quale è difficile liberarsi. (Roberta Breda)
Nella foto: un’immagine da Notturno di Gianfranco Rosi
Nel video: Letizia Cilea e Beppe Musicco parlano, tra gli altri, di Laila in Haifa (in concorso) l’israeliano Amos Gitai