Joe e Jerry, due musicisti squattrinati, sono testimoni involontari di una strage compiuta da mafiosi. Ricercati dai killer, si travestono da donne e si uniscono ad un’orchestra femminile, per non essere trovati. Nei nuovi panni di Josephine e Daphne, i due incontrano le prime difficoltà quando fanno la conoscenza di Sugar (Zucchero nella versione italiana), cantante e suonatrice di ukulele che sogna di sposare un uomo ricco. Una volta che l’orchestra giunge a Miami, Joe si traveste da milionario e approfitta dei momenti di pausa dalle prove e dagli spettacoli per avvicinare e sedurre Zucchero. Jerry, invece, diventa suo malgrado oggetto delle attenzioni di un anziano facoltoso di nome Osgood. Quando i musicisti scoprono che nello stesso albergo dove si devono esibire si trovano i propri inseguitori, lo scontro con loro dà il via ad un susseguirsi di fughe, tranelli e travestimenti all’interno dell’intero edificio.

Nonostante gli intermezzi musicali e diversi accenni parodici ai gangster movies dell’epoca, A qualcuno piace caldo è soprattutto un’esilarante commedia degli equivoci, la cui comicità poggia principalmente sui dialoghi brillanti, sui raffinati doppi sensi e sull’autoironia degli interpreti (Jack Lemmon su tutti, davvero scatenato). Wilder riesce a riunire sapientemente tutte le costanti del repertorio comico: travestimenti, burle, malintesi, scambi di persona con un ritmo che si fa man mano più incalzante, e raggiunge l’apice nelle scene che immediatamente seguono quella del banchetto dei mafiosi. Il film compare in diverse classifiche come una tra le commedie più divertenti di sempre, anche in virtù della celebre battuta finale. Il titolo s’ispira ad un musical con Bob Hope ed è ripreso nel film da una frase di Tony Curtis: l’aggettivo “caldo” si riferisce al jazz, che poteva essere anche “freddo” (cool) quando era suonato, con minor foga, dai bianchi. Fondamentale, nel film, la tematica dell’ambiguità sessuale, trattata senza malizia e in anticipo sui tempi: suscitò comunque scandalo in diversi paesi, dove la pellicola fu censurata.

Negli anni Settanta, la trama è stata portata a Broadway e ha dato vita allo spettacolo Sugar, che prende il nome dal personaggio della cantante bella e svampita interpretata da una Marylin Monroe al suo meglio, di cui il sassofonista Joe s’innamora.

Numerose sono le leggende relative al comportamento sul set di Marilyn, allora già dipendente da alcool e antidepressivi: pare che l’attrice abbia avuto difficoltà a ricordare alcune battute, tanto da ripetere un paio di scene 30-40 volte, che tardasse ore mandando su tutte le furie il regista Billy Wilder, e che talvolta si rifiutasse persino di uscire dal proprio camerino.

Maria Triberti

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