Se è un j’accuse di Milano, come il sindaco Letizia Moratti ha temuto di ravvisare (senza vederlo, il che non è mai cosa buona), non è del tutto campato per aria: se i soldi non hanno potere nella capitale finanziaria d’Italia… Certo che a Milano c’è altro, ma il tema del film era questo, non altro. Ed è evidente che a una regista “militante” come Francesca Comencini (autrice del brutto documentario Carlo Giuliani, ragazzo e dell’ideologico Mi piace lavorare) questa città – che pure considera un po’ sua e che dice di amare – può presentare lati sociologici e politici ai suoi antipodi, che può essere portata a denigrare. Detto questo, il film è anche una la storia di persone e dei loro sentimenti, della capacità di alcuni di amare e dell’incapacità di altri, di abissi del male e di vertigini di vera passione per l’altro. Con una serie di ottimi interpreti. Se Zingaretti, come sempre, è convincente in un ruolo che non è solo del perfido uomo d’affari (che usa l’amante come un oggetto e la scarica con volgarità dopo un suo tradimento), lo è anche Valeria Golino, non tanto quanto integerrima finanziera quanto come donna dalla vita sentimentale disastrata, con un giovanissimo fidanzato che non si vuole impegnare (mentre lei vuole un figlio). Battiston è un uomo che ha un omicidio alle spalle per cui è stato a lungo in galera: nella prostituta dell’Est vede la possibilità di rifarsi una vita, ma non andrà così; però anche una tragedia sarà l’occasione di riscatto morale per lui. L’ex “grande fratello” Luca Argentero è un giovane senza spina dorsale alla ricerca di facili guadagni e che mette a rischio il suo matrimonio; Laura Chiatti la giovane e fragile amante di Zingaretti che per volere troppo si troverà a perdere tutto.,Ci sono tanti dettagli umanamente e psicologicamente esatti in questo film, che pure sul fronte della descrizione sociologica è sicuramente parziale. Ma una certa Milano che va di fretta e usa del denaro ma cerca di nascondere povertà o drammi (come quelli legati al generare i figli, ovvero alla necessità di “darsi” un futuro) è riconoscibile da chi la conosce e la ama. E c’è un aspetto di universalità da non sottovalutare, non solo perché ogni grande città è così ma anche perché gli uomini e le donne sono così. Quando Zingaretti dice al trafficante russo “Io non desidero niente dalla vita e quello che desidero lei non me lo può dare” parla del figlio che la moglie ha perso e che lui non può più avere. Eppure, sembra risuonare un’ulteriore vibrazione di senso, che nessuno a ben vedere si può dare da solo.,Ci sono anche volgarità e forzature di vario tipo, eppure “A casa nostra” ci sembra sincero per quanto non del tutto riuscito (il finale in cui tutti i personaggi si incrociano davanti all’ospedale irrita per quanto è prevedibile). Soprattutto regala alcuni personaggi minori indimenticabili. Come quello del professore in pensione, interpretato dal caratterista Teco Celio, dalle mani bucate (esilarante la corsa a vendere i libri preziosi per pagarsi i debiti col fisco) e dall’amore burbero e appassionato per la moglie malata: quando teme di perderla, dopo un attacco di cuore, e poi non ha il coraggio di rientrare nella casa vuota c’è un saggio di bravura e umanità che vale il film.,Antonio Autieri

A casa nostra
Una serie di personaggi a Milano: un banchiere senza scrupoli (Luca Zingaretti), la sua giovane e triste amante (Laura Chiatti), un capitano della Guardia di Finanza (Valeria Golino) sulle tracce dei loschi traffici del banchiere, un benzinaio con qualche scheletro nell’armadio che si innamora di una prostituta (Giuseppe Battiston). E tanti altri uomini e donne che vivono in questa grande e difficile città. Al centro, il potere e l’influenza dei soldi.