Il film inizia con la pioggia che batte, le luci al neon, e un uomo che passeggia per le vie della Napoli degli anni ’70. Voce fuori campo e vari clichè. È un uomo che va a comperare un regalo al figlio, un’automatica, il figlio è un sicario professionista al soldo di una famiglia mafiosa come prima lo era stato anche il padre. Questo è il prologo di cinque capitoli. poi il figlio viene ammazzato e il padre, Peppino si chiama, cerca vendetta: con l’aiuto dell’ex collega Totò e di una ex fiamma arriverà a scatenare una guerra che porterà allo sterminio delle varie famiglie di Napoli.
Presentato alle Giornate degli autori nell’ambito della 76a edizione della Mostra del cinema di Venezia. Esordio alla regia del fumettista Igort che scrive e dirige un film tratto da una sua stessa graphic novel ominima. È un film dai pochi pregi ma che se non altro è abbastanza originale come film italiano per la ricerca visiva. Vorrebbe essere un po’ Sin City e un po’ Dick Tracy (il film di Warren Beatty), ma non ha l’ironia del primo né le trovate visive del secondo. Vorrebbe avere un’estetica grafico-espressionista, ma risulta sembra piuttosto un videoclip di Liberato. La qualità tecnica c’è anche per dei grossi nomi nel cast tecnico, Esmeralda Calabria e Walter Fasano al montaggio e alla fotografia Nicolai Brüel (che ha firmato la fotografia di Dogman di Garrone e dell’imminente Pinocchio). Ma nonostante questi nomi non riesce ad andare oltre alla qualità di un videoclip. Già il fatto che sia tecnicamente curato lo rende particolare rispetto a tanti film italiani, generalmente noncuranti della forma, ma questa tecnica è abbastanza vuota e di riporto, a imitazione di altri film ma senza quella follia. Il risultato? Una patina da videclip come già detto.
Il difetto forse sta proprio nella regia di Igort, attenta alla composizione delle inquadrature, ma piatta nella narrazione. I dialoghi sono filmati in modo primitivo e le scene d’azione come un videogioco, con soggettive e piani sequenza con velocizzazioni e rallenty.
Igort spreca anche il terzetto di (altrove bravi) attori protagonisti Servillo-Buccirosso-Golino che non funzionano e risultato tutti macchiettistici e sopra le righe, che gongolano in personaggi da sceneggiata ma senza anima che recitano con tono enfatico interminabili dialoghi e voice over fatti di luoghi comuni. La trama non appassiona troppo e i personaggi sono banali, c’è solo un bel colpo di scena alla fine.
5 è il numero perfetto ha forse l’unico pregio di essere un film molto diverso dalla media delle produzioni italiane, per ambizioni e tecnica: detto ciò (quasi) nulla funziona e tutto e senz’anima, vuoto. Probilmente perché il film è più interessato ad essere diverso (senza però avere l’originalità neccessaria per riuscirci) che a dire effettivamente qualcosa.
Riccardo Copreni