Il capolavoro di Stanley Kubrick è diviso in quattro capitoli (movimenti): 1) “L’alba dell’uomo”, sulla terra milioni di anni fa un monolito nero appare ad una tribù di ominidi. 2) “TMA-1”, il dottor Floyd è chiamato su una base lunare dove è stato scoperto un monolite nero che trasmette un segnale radio verso Giove. 3) “Missione Giove”, una nave spaziale con tre astronauti in ibernazione e due piloti è guidata dal computer di bordo HAL 9000 verso Giove, alla ricerca del ricevitore del segnale radio. 4) “Giove e oltre l’infinito”, l’astronauta David Bowman arriva su Giove e si perde nello spazio tempo.
Scritto dallo stesso Kubrick con lo scrittore di fantascienza Alan C. Clarke a partire da un suo romanzo, The Sentinel, 2001: Odissea nello spazio è il più compiuto, complesso inquietante e adulto film di fantascienza mai fatto. Inizia con un folgorante proemio nello spazio; poi diventa un impossibile documentario prima sulla vita degli ominidi e poi (in chiave di balletto) sui viaggi spaziali dove ciò che viene descritto con maniacalità sono i gesti quotidiani (l’attenzione al cibo); infine si chiude come fiaba metafisica e labirintica sul destino dell’uomo. Kubrick fa compiere allo spettatore un’esperienza spazio-temporale come il cinema non si era mai permesso dai tempi di Griffith (Intolerance) e non si permetterà più fino a The Tree of Life, con un taglio di montaggio si passa dalla terra preistorica all’orbita della Luna nel futuro. Lo spettatore attraversa il tempo e lo spazio fino a perdersi nel finale.
Enigmatico, misterioso, forse ermetico nella sua cupa austerità, è un film di cui si è detto di tutto, che è stato interpretato (ed è interpretabile) in diverse chiavi: religiosa, nietzschiana, evolutiva… Ma forse il punto del film non è tanto nel suo senso per forza compiuto, quanto più nel suo essere un’incredibile esperienza. 2001: Odissea nello spazio è probabilmente la più clamorosa esperienza cinematografica che lo spettatore possa fare: un’esperienza visiva, attraverso una cura per l’immagine anche intesa come spettacolare con pochi eguali (fotografia di G. Unsworth e J. Alcott, effetti di Douglas Trumball premiati con l’unico Oscar vinto dal film), ma anche un’esperienza sonora, per le celebri musiche (R. Strauss, J. Strauss, Ligeti) che scandiscono il ritmo dei diversi tempi e luoghi, del mistero del cosmo, e anche per il lavoro di sound design che per la prima (e unica!) volta fa “sentire” il silenzio del cosmo.
Da vedere con gli occhi pieni di stupore e meraviglia con cui si guarda un capolavoro con pochissimi eguali. Da vedere se è possibile al cinema, dove viene spesso riproposto, perché un film di questo genere ha bisogno del grande schermo.
Riccardo Copreni