Film diviso in tre tempi mescolati assieme: 1) L’infanzia di Rudolph Nureyev (girata in digitale in bianco e nero e cinemascope) nelle periferie misere dell’Unione Sovietica, l’affetto della madre, il padre assente, fino alle prime lezioni di danza. 2) Gli anni di accademia di ballo (immagini pittoriche in pellicola) con l’insegnante Alexander Ivanovich Pushkin (interpretato dallo stesso regista Ralph Fiennes) e con la moglie di lui. 3) 1961: una tournée a Parigi (immagini riprese con macchina a mano, pellicola e in 4:3) dove fa conoscenza del ballerino francese Pierre Lacotte e di Clara Saint, la scoperta della libertà dell’Occidente e la fuga.

Il celebre attore inglese Ralph Fiennes (tra i tanti ruoli, quello più celebre è Voldemort nella saga di Harry Potter) dirige un film biografico su uno dei più grandi ballerini di tutti i tempi ritagliandosi anche il ruolo dell’insegnante di danza. Non vuole essere però un biopic tradizionale, è completamente decostruito nei tre momenti narrativi raccontati assieme sovrapponendosi, non vengono date troppe spiegazioni di niente; tutto accade e basta. Quello che a Fiennes interessa è riprendere con elegante virtuosismo l’atto della danza e sprecarsi in momenti di estetismo, di grande forza visiva e belle immagini, forse fini a sé stesse. Nureyev – The White Crow ha un bel ritmo e comunque prende lo spettatore, ma ci sono molti, troppi avvenimenti completamente inspiegati che confondono (si poteva benissimo tagliare mezzora di film e questo non ne avrebbe sofferto). Inoltre su molte così si tace (l’omosessualità del ballerino), su molte non si approfondisce; e i vari cambi di registro stordiscono un po’ (come il passaggio al quasi thriller di spionaggio sulla fuga).

Ci sono alcune scene che emozionano molto, oltre ai già citati numeri di ballo lo stacco brillante tra Nureyev bambino abbracciato dal padre e il dipinto “Il perdono” di Rembrant, la decisione se chiedere asilo o no montata assieme al saluto della madre durante la prima lezione di danza. Anche alcuni personaggi secondari sono molto ben riusciti, il già citato insegnante Pushkin che ha battute molto interessanti sul perché si fa arte, il personaggio di Claire interpretato dalla francese Adèle Exarchopoulos (protagonista in La vita di Adele) che fugge agli stereotipi. Forse il personaggio meno riuscito è proprio Nureyev e la colpa è, oltre che del copione, in parte anche dell’attore Oleg Ivenko, che non è un attore ma un ballerino (come anche il grande Sergei Polunin che ha il ruolo di un amico): infatti balla benissimo, ma non controlla tutte le sfumature del personaggio e passa dal piagnucolare a una rabbia improvvisa completamente immotivata che confonde lo spettatore.

Insomma, alla fine proprio il “Corvo bianco” risulta sfocato: non si capisce realmente perché danza, perché fugge, perché fa quello che fa. Questo impedisce, in fondo, di stare realmente con lui: elemento che per un biopic, per quanto con molte cose interessanti, è un problema.

Riccardo Copreni