Ambientato in una Francia rurale, che conta ancora su figure autorevoli e disponibili come il medico condotto, il film di Thomas Lilti (che è regista e medico anch’egli) è supportato da una grande umanità ed empatia, grazie principalmente alla decisiva presenza di François Cluzet (che da malato di Quasi amici diventa medico). La trasmissione del sapere, dell’esperienza fatta di tempo e piccoli gesti carichi di rispetto, la capacità di ascoltare, di dire la parola giusta al momento giusto, sono pratiche che stanno al cuore della professione del protagonista, mostrato in una luce naturalista che in certi punti ricorda la narrazione di un altro grande film francese, Le nevi del Kilimangiaro, ma arricchito di alcuni sinceri momenti di commedia (come i “riti d’iniziazione campestre” cui deve sottostare la dottoressa Nathalie, subentrante che viene dalla città).
Uno schema narrativo semplice e certo non nuovo (la coppia professionale male assortita che deve imparare una convivenza professionale), libero da rapporti sentimentali, ma capace di ricostruire un microcosmo ricco di volti belli e spontanei, e soprattutto di grande calore umano, che si rispecchia in rapporti sinceri, dei quali Jean-Pierre sente tutta la responsabilità e dai quali fatica a distaccarsi, disposto come sarebbe anche a tralasciare le cure di cui necessita.
La ricerca di questo equilibrio, di una colleganza che diventa anche amicizia e stima reciproca, la descrizione di una vita semplice e messa quotidianamente in crisi da tempi e modi di una civiltà contemporanea che spesso è indifferente alle esigenze dei più deboli, fanno che Il medico di campagna sia una piacevolissima sorpresa di fine anno, con la speranza che possa essere visto e apprezzato da un pubblico il più vasto possibile.
