Chi è quel bambino milanese di 4 anni, scuro di pelle, esempio felice di integrazione? Lo scopriremo strada facendo, ma è un indizio di “positività” che il film di Antonio Albanese (al quarto film da regista, dopo sedici di distanza dal terzo) vuole subito segnalare. Ma prima dovranno succedere tante cose. Subito dopo questo inizio “sospeso” vediamo il protagonista Mario, uomo solitario che vive nella sua Milano, dedito con scrupolo e precisione al negozio di calze ereditato dal padre ma con l’unica e vera passione dell’orto realizzato sulla terrazza del suo condominio. Mario vede la città e il quartiere cambiare progressivamente: sempre più stranieri, sempre più ambulanti invadenti che vogliono vendergli qualsiasi cosa, sempre meno facce amiche (mentre gli stranieri che lo chiamano “amico!” lo irritano profondamente, dando un valore importante a questa parola). Quando l’amico barista vende a un egiziano è la goccia che fa traboccare il vaso. O meglio, la penultima: l’ultima è il senegalese Oba che vende calze scadenti a prezzi stracciati davanti al suo negozio e che non ha la sua passione e conoscenza del prodotto che vende (confonde filo di Scozia con filo di Svezia…). Quando gli porta via clienti in serie, il mite Mario perde la pazienza e organizza uno strampalato piano che a lui appare geniale, con l’obiettivo di riportarlo al suo paese…

Siamo solo agli inizi, poi di cose ne succedono ancora parecchie. Contromano allarga progressivamente l’oggetto di attenzione: all’inizio c’è solo Mario, che vive da solo e non ha amici (se non, forse, Gisella che abita nel palazzo e vive di gossip e tv ma sa sempre dargli qualche buon consiglio), poi il senegalese Oba caratterizzato da simpatia ribalda e ingenuità, infine a un certo punto appare una presunta sorella di Oba di nome Dalida. Dalida si unisce a Mario e Oba, a comporre un improbabile terzetto: con Mario sempre più affascinato dalla ragazza e sempre meno convinto del suo “piano”, Dalida che invece vuole approfittare del “passaggio” per andare in Senegal per qualche giorno (per trovare i suoi, ma anche per un altro motivo che si svelerà presto) e Oba sempre più infastidito dall’interesse di Mario per lei.

Il punto di forza di Contromano è che Mario non è, all’inizio, il classico razzista che ci si potrebbe aspettare: il suo personaggio è ben descritto e compreso nelle sue difficoltà, tanto che – perfettamente in linea con gli umori post elettorali del marzo 2018 – può sembrare un paradossale avallo a chi perde la pazienza contro stranieri clandestini e abusivi scorretti. Ma in realtà quando il protagonista dice «aiutiamoli a casa loro» è sincero e convinto, «perché da noi non c’è più posto». Onesto, buono, a tratti poetico nel suo essere d’altri tempi, cederà poi il passo a un Mario esagitato, arrabbiato e poi euforico per il suo “piano” (il momento migliore dal punto di vista comico, con un Albanese scatenato, quando in auto canta felice “vada via el cù…».

Quando il film diventa un classico on the road inizia a sfilacciarsi un po’ (e a girare sotto ritmo), tra soste ludiche e panoramiche, sotterfugi, segreti svelati e così via (inserendo divagazioni, come l’uomo disabile che Dalida accudisce). Tra i modelli Albanese cita da sempre l’amato regista finlandese Aki Kaurismaki; e nella sua cifra comica surreale qualcosa ha sempre cercato di riproporre, soprattutto nell’esordio Uomo d’acqua dolce. Qui in realtà a tratti sembra di tornate alle commedie anni 70, con Manfredi o Gassman, la scoperta poi di un “nuovo mondo” ma anche malintesi, pericoli (relativi: i carabinieri sono fin troppo gentili), chiarimenti. E alla fine, una madre che ringrazia per aver potuto rivedere (un’ultima volta?) sua figlia e una “terra buona” da valorizzare (il tema dell’“a casa loro” è usato in Italia sia dai razzisti che da chi non lo è affatto ma crede davvero che sia più giusto aiutarli a non lasciare le loro terre: Mario vive entrambe le dimensioni, un po’ contraddittoriamente). C’è spazio anche per un’allusione maliziosa, nel finale “positivo” che ci riporta al bambino dell’inizio, che non aggiunge molto al film.

Contromano (scritto dal regsta-attore con Andrea Salerno e Stefano Bises) mostra, a pochi mesi da Come un gatto in tangenziale, un Albanese in gran forma come interprete sintonizzato sulla contemporaneità, con tutti i “tic” giusti dell’italiano medio del nord, che cerca una strada personale – e assurda – al problema di un’immigrazione per lui insopportabile. Un film che parla di apertura al mondo e all’altro in maniera semplice, anche un po’ didascalica ma non banale: la prima parte evita come detto le semplificazioni del classico settentrionale ottuso e pieno di pregiudizi, rappresentato con simpatia – e vittima, oltre tutto, di problemi reali – e non come un becero razzista. Si dirà che la seconda parte e soprattutto il finale ecceda in “buonismo” (orribile termine, che personalmente non riusciamo a digerire). In parte, in effetti, le semplificazioni aumentano. Ma ci piace questa Italia in cui due persone si guardano inizialmente in cagnesco e poi iniziano a (con)vivere con modalità diverse. Fino a scambiarsi di posto. Come regista Albanese deve ancora crescere, anche se il lungo stop (dopo il bell’esordio di Uomo d’acqua dolce ormai oltre vent’anni fa, seguirono i modesti e ben più grevi La fame e la sete e Il nostro matrimonio è in crisi) gli ha fatto bene: la sua commedia è molto più interessante e tecnicamente adeguata di tante altre con registi più collaudati (fra l’altro dovendo gestire due attori francesi che recitano per la prima volta in italiano, i due “senegalesi” Alex Fondja e la splendida Aude Legastelois). E ha molto più da dire, al tempo stesso in modo troppo semplice (in questo sembra davvero una “favola” alla Kaurismaki, pur senza il suo talento) e a tratti confuso, ma anche con una positività di fondo che ci piace e ci appare salutare in un momento storico così incarognito. Contromano non apporterà magari soluzioni a un problema epocale, ma regala con garbo un contributo di approccio e di sguardo umano all’altro che fa simpatia.

Antonio Autieri